26 aprile 2006
C'ERA UNA VOLTA LA TREBBIA
da notizie raccolte da Domenico Ventresca
Riprendendo un articolo pubblicato sul giornalino dei festeggiamenti dell’ anno 2002 andiamo a descrivere l’attività agricola che per molti anni è stata fiorente e predominante nella nostra frazione: la coltivazione del frumento. Terminata la fatica della mietitura allora effettuata a mano con il falcetto e raccolte le spighe in covoni, questi venivano trasportati con gli asini e le mule nelle aie, in attesa della trebbiatrice, che, dagli ultimi giorni di giugno, iniziava a muoversi, tutta rossa nell’ocra arsiccio dei campi: nella nostra frazione le aie erano ubicate nel terreno di proprietà di Federico Pasquale nella zona della Masseria Federico e nel terreno di proprietà della famiglia D’Amato dove attualmente è ubicata il campo sportivo di Vallelarga; altre aie erano ubicate nella zona di case del Ciminiero e nella zona di contrada Valle San Martino nel terreno di proprietà della famiglia Casasanta e nella zona vicino l’attuale chiesetta , nel terreno di proprietà del sig. Volpe Aquilino. Successivamente anche nella Valle Peligna ed in particolare a Valle Larga, per sopperire a questa carenza locale di questa attività agricola, due famiglie lungimiranti ed intraprendenti, quella di Luca Agapite e di Antonio Crugnale per gli amici ‘Antunell’, accantonata un momento la loro attività acquistarono i nuovi macchinari per iniziare con entusiasmo una nuova più professionale e tecnicamente evoluta ed appagante.
La trebbia di Antonio Crognale, come racconta il figlio Beniamino, intervistato per l’occasione, iniziò a trebbiare nel 1923 e andò in pensione nel 1973; il modello era “BALDUZZI ROVITA” ed era trainata da un trattore modello LANDINI.
Terminata la trebbiatura nella nostra frazione, racconta sempre Beniamino, “andavamo a Rocca Pia dove la trebbia sostava quindici giorni nella zona dell’attuale campo sportivo e da lì ripartivamo per l’altopiano delle Cinquemiglia, fine al termine della stagione lavorativa a Castel di Sangro”
Le manifestazioni di spontaneo entusiasmo durante gli incontri tra i nativi e gli operatori delle nuove macchine erano una dimostrazione di genuina felicità queste davano l’opportunità di un incontro tra due modi di vivere diversi il primo relegato nell’isolamento tra le anguste propaggini dei monti, e quindi destinati ad avere scarsi contatti con quanto si evolveva nelle città, e l’altro più intraprendente proveniva dalla riviera sul Mare Adriatico dove per la natura del territorio i contatti con i popoli confinanti erano più frequenti e gli scambi più veloci consentendo una esistenza più evoluta.
Per questo motivo la figura degli operatori del lumetore la si può paragonare al conduttore di un televisivo portatore di novità, di aggiornamenti politici e di smaliziate esperienze dovute anche a causa della vita errabonda, tutto ciò con gli anni è rimasta come abituale consuetudine, quindi durante le pause era normale lo scambio di notizie con argomenti che spaziavano in tutti i campi dai problemi di vita pratica, alle informazioni gastronomiche, alle novità del mercato su nuovi prodotti, moda e costumi di vita, e non mancavano i piccanti pettegolezzi sugli avvenimenti mondani del mondo.
Questo retaggio festaiolo della trebbiatura ha lasciato una forte impronta nella tradizione storica divenendo consuetudine tra due modi differenti di vita e quindi questi incontri hanno avuto radici lontane per una serie di circostanze anche quando in seguito la trebbiatura fu organizzata da persone del luogo.
Due furono i fattori importanti che determinarono l’incremento meccanico della trebbiatura una dovuta all’evolversi dello sviluppo della tecnologia e l’altro un’emergente orientamento culturale del sec. XVIII inizialmente proposto come movimento di pensiero e successivamente attuato come capacità di risolvere i problemi di natura sociale e politica.
Qualsiasi lavoro fino ad allora era stato sempre eseguito manualmente con l’uso della sola forza delle braccia o con l’aiuto degli animali da lavoro, fino a quando nella seconda metà del ‘700 un nuovo propellente si affacciò nel mondo industriale ed agricolo, e la tecnologia di allora fu in grado di presentare moderne macchine alimentate dall’energia termica del vapore.
Le attività agricole ebbero, attraverso questi mezzi, uno sviluppo notevole, l’agricoltura poté evolversi rapidamente in estensiva alla ricerca di nuovi terreni da adibire a coltivazione e, la pastorizia, privata delle sue prerogative, si avviava verso un repentino declino, quindi anche la struttura sociale fu ribaltata, perciò, da quel momento quella professionalità si vanificò disperdendosi.
L’antica attività lavorativa prettamente pastorale si ridusse notevolmente e la figura del pastore come professione scomparve quasi del tutto.
L’illuminismo, ‘la filosofia dei lumi’, il nuovo movimento introdotto in Italia iniziò a dissacrare la pastorizia, perché alcune colte personalità del tempo promossero un’analisi critica ai problemi economici, sociali e politici del tempo, e per risolverli, secondo le loro teorie, vollero sopprimere su tutto il territorio italiano le attività che non promuovevano una razionalità intellettiva.
Questi individuarono nella pastorizia un’attività statica, tecnologicamente arretrata, quindi un ostacolo allo sviluppo dei nuovi emergenti indirizzi, che sovvertirono il campo del sapere di allora nella storia, nella religione e nelle discipline economiche.
Il declino fu fatale per l’attività pastorale abruzzese, che era costretta a svolgere le sue funzioni nelle aree montane interne in un isolamento totale.
I tratturi, le grandi vie verdi, rimasero subito inoperosi, la transumanza fu sospesa con tutto il suo corredo storico e culturale ed, i pascoli abbandonati.
L’Abruzzo fu coinvolto da questa ventata di modernità ed alcune Aziende agricole della Val Pescara si aggiornarono con i moderni trattori, che grazie alla facilità di movimento poterono raggiungere le zone più interne, annullando d’un solo colpo l’atavico isolamento della gente campagnola che viveva nella media montagna.
Quando queste prime macchine rumorose e gigantesche stazionavano sulle aie pronte ad iniziare la trebbiatura, queste esercitarono sui curiosi ed ignari braccianti lo stesso impatto emotivo che noi oggi abbiamo subito allorquando ci è apparsa in televisione la prima indecifrabile astronave ed i lesti operatori apparvero come misteriosi ed inavvicinabili astronauti.
Però superato l’impatto del primo momento di stupore tra la gente locale ed i nuovi arrivati con un comprensibile entusiasmo fraternizzarono in amicizia dando vita a quella ospitalità vanto della Gente abruzzese ed allora via a dimostrare di gradire la loro presenza con libagioni proposte con numerosi e sostanziosi pasti.
Descrivere oggi la trebbiatura del grano come avveniva un tempo deve essere intesa come un momento di gioia e di felicità per tutte le persone della frazione che aspettavano l’arrivo della trebbia: i bambini correvano incontro alla trebbia alla salita di Ponte d’arce e la scortavano fino all’aia: qualche volta succedeva che nella rampa di accesso all’aia il trattore (il lumetore) non ce la faceva e tutti si preoccupavano di aiutare a spingere e a superare l’ostacolo della salita stessa.
Alcuni bambini si divertivano a creare i ganci al fil di ferro necessario a reggere le balle di paglia appena uscite, altri si divertivano a pesare il grano sulla bascula (la bilancia) e magari ad alterare i pesi dei sacchi stessi illudendo gli stessi contadini che avevano prodotto un quantitativo maggiore di grano rispetto a quello reale
La trebbiatura riassume tutte le fatica del contadino dalla semina alla raccolta del grano e rappresenta il coronamento dei sacrifici con un realizzo immediato del guadagno economico: di conseguenza per tutti l’arrivo della trebbia è sempre stata una festa; dalla mattina all’alba fino alle nove di sera, era tutto un allegro rombare, una fatica continua fatta di canti e di gridi, ed intramezzata da mangiate e bevute degne della tavola di un re. Il lavoro della trebbiatura si è sempre svolto con un ritmo eguale, quasi a tempo di musica; ed anche se il sudore grondava com’acqua dalle fronti e dalle nuche degli imboccatori, che senza tregua, alternativamente, gettavano nelle fauci della macchina i covoni passati sulla punta delle forche, la stanchezza non era mai sentita, o, se lo era, veniva compensata dalla vista del grano, che, uscendo dalla bocchetta della trebbiatrice nei sacchi, aveva già la fragranza del pane benedetto.
Tutti i contadini delle fattorie vicine erano presenti alla trebbiatura: aiutarsi a vicenda era antica consuetudine: l’assenza sarebbe stato un segno di inimicizia, uno sgarbo brutale, quasi una dichiarazione di guerra; e oltre agli amici, c’erano le donne e le ragazze, forti come bufale e caparbie sostenevano qualunque impegno anche nel mangiare e bere: vere eroine della campagna erano capaci di vuotare «per vincere l’arsura», bicchieri su bicchieri anche, quando uscivano di casa per andare all’aia, arsa dal sole e dalla polvere e con enormi boccali di vino passavano da bere a tutta la compagnia. Mentre le masse di pula venivano subito spazzate dalle pale ed i fastelli di paglia strappati dal grano salivano in fila su per l’elevatore, nelle cucine fumose le donne di casa preparavano grosse pagnotte, tavole intere di maccheroni alla chitarra e agnello alla brace. Quattro o cinque erano i pasti di regola in questa speciale giornata: alle 7, alle 10, a mezzogiorno ed alla sera: i primi due in piedi ed in fretta; a mezzogiorno, invece, si mangiava e si beveva seduti a tavola, davanti alla casa. Ma il vero banchetto si teneva alla sera, quando era franta l’ultima spiga e, portato via a spalla d’uomo l’ultimo sacco verso il granaio, la trebbiatrice finalmente riposava. Allora iniziava una gara a chi mangiava di più per integrare le calorie perdute , fino a che, sazi e con gli occhi lustri, buttati via sedie e panchetti, gli operai si siedevano a terra a fumare, rimasticando i quintali «fatti» durante la giornata, e il prezzo, e quanto toccava al padrone e quanto agli operai, e i guadagni e le perdite. Qualcuno ingannava il sonno ed i pensieri giocando a morra al chiaror fioco delle lucerne all’olio, mentre le donne sparecchiavano la tavola e cani e gatti rosicchiavano al buio ossi e croste sotto le tavole.
| inviato da il 26/4/2006 alle 18:59 | |
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